diritti    contatti      commentiil blog

links di accesso alle sezioni

 teatropoetica       canzoniere        diaristica   pittura

 

 

 

BEATRYCZE

 

 

monologo

 

 

persona

 

Beatrycze

 

 

 

ad una sconosciuta donna polacca

e,  nel suo nome,  alle ignote, ignorate,  presenze trucidate in ogni guerra

 

 

 

IL MONOLOGO

 

 

 

BEATRYCZE

 

Potevamo? Attraversare. Il ponte.

Su. Tavole recalcitranti.

Intagliate sui. Nostri passi.

 

Non vi sono. Drappi. O. Bandiere.

Né. Treni che. Si lanciano.

Verso. Campi senza. Margherite.

 

Non vi sono. Recite di pietà.

Né. Padri di stupro.

Né. Vendemmie di figli.

 

Non vi sono. Sogni sognati.

Né. Pollini illusi

Né. Frustate di mitraglia.

 

Dalla. Riva diversa.

L’universo contrario.

Si rivela. Sulle onde. Quiete.

Della. Vistola.

 

 

Mi distinguete? Questa penombra nebbiosa potrebbe dare di me impressioni non vere. Mi descrivo. Almeno, tento. Non dubitando che non possiate crederci.

Ho i capelli neri e ricci. Un naso proporzionato al viso (che è affusolato). Occhi scuri (li accentuo con un leggero neretto sulle palpebre). Le labbra sono ben disegnate. Non sottili e non grandi. Le mani  sono scarne e nervose. (buone per afferrare: mi piace afferrare le cose e, poi, trattenerle). Le gambe sono slanciate (ho le caviglie sottili). I fianchi. Ben torniti, senza essere pingui.

Mi guardo spesso allo specchio. Nuda.

I seni sono ancora sodi. A base larga. I capezzoli sono equilibrati.

Ho un particolare sul quale potrete solo fantasticare. Il pube riccio. Nero e folto.

Potrei dire (dico) che sono bella, molto più che bella. So di esserlo.

Sono sensuale. Vivo da ribelle. Sono una donna libera e sono innamorata a metà: Perché la mia sensualità non ha preferenze. È alterna. Come le emozioni. Come le situazioni.

Ora, sono in piena luce. Lascio a voi il giudizio.

 

Mi avete invitato a parlare di me. Lo farò. Anche se mi sento molto stanca. Assente e un po’ confusa.

Una volta soffrivo di forti mal di testa. Oggi, non più. Quasi se il mio cervello fosse saltato via. Scomparso. E questa sensazione mi porta ad avere dei mie ricordi visioni sovrapposte e saltuarie. Più che definite immagini, nei propri tempi.

Vi chiederete di cosa mi interessi. Non ricordo. Forse  sono una scrittrice o un medico. Forse una  prostituta.

Sì! Probabilmente una prostituta. Per essere degna della mia nazione.

Degna della Polonia!

Debbo essere adempiente ai progetti del Governatorato per l’incremento della pornografia.

Sì! Debbo mostrare al mondo la vera cultura polacca. Niente teatri, cinema, niente accesso alla radio o alla stampa. Niente istruzione. Essere subumana!

"La nazione polacca non vale la pena di essere chiamata una nazione colta".

Signor Ministro alla Propaganda Joseph Goebbels non fu Sua questa affermazione a Lódz il 31ottobre 1939?

 

Ah, squisita la galaretka!

La signora Faustyna (la mia coinquilina del piano di sotto) me ne ha portato con dovizia (dieci porzioni … ne avrò per un paio di giorni).

Sono golosa. Anche gaudente. Dovrò acquistare una bottiglia di Dom Pérignon (naturalmente due …  una anche per la signora  Faustyna).

La signora Faustyna è l’unica che mi accetti per quel che sono. Però, si intriga di tutto. Cerca di convincermi a fare una vita ritirata e non dissoluta. Ha fede in me. Mi considera una intelligenza vivace e sprecata.

Però non sa nulla di me. Di quel che agito nei miei pensieri o di quel che scrivo.

A ben pensare è un suo modo di tentare di proteggermi. Mi coccola. Mi piace essere coccolata.

 

Cammino con Gracya. A Cracovia questo autunno è quieto. Un autunno che induce a quella malinconia sensuale che ti trasporta alla tenerezza. Siamo entrate nella Basilica di Santa Maria.

L’altare di Veit Stoss ogni volta mi crea stupore e sgomento. Oscillo tra due emozioni che mi coinvolgono. La pazienza e la decisione strenua di applicarsi al compimento dell’opera e la esasperata grandezza delle figure.

Una grandezza di misure che ha, in se, una grandezza di spiritualità.

Stringo la mano di Gracya. Non le dico che ho paura. Non le dico il perché. Nei miei occhi è impresso il ritratto giovanile di Chopin. Le visioni non si possono raccontare. Lo vedo distrutto mentre ascolto “I Polacchi non hanno bisogno di università o di scuole secondarie; le terre polacche devono essere convertite in un deserto intellettuale.”.

È inutile pregare, per vanificare una profezia, innanzi a una donna in dormizione.

 

Alfred?

Alfred è il vicino a me più caro. Ha tredici anni o forse quattordici. L’età non gliela chiedo mai. È nel periodo della vita in cui si sentirebbe prostrato da una tale domanda. Mi sbircia. O meglio. Sbircia le mie gambe. Non ho compreso se lui sappia che me ne accorgo.  Confesso. Sono sensibile alla ammirazione. Quanto più giovane è l’ammiratore, d’altronde, più l’ammirazione seduce. Diciamo che la sua è genuina. Senza sotterfugi.  

Potrò dirmi che ho una femminilità ancora prorompente? Una giovinezza in perenne fioritura!

Ma, mi compiaccio eccessivamente.

Potrebbe essere il gioco di un cucciolo. Guardare. Farsi scoprire. Imparare l’attacco. Ritirarsi soddisfatti della sfida alla preda.

Ci debbo riflettere. Sono una preda, ormai vecchia,  compiaciuta del gioco di un cucciolo? 

 

Non sono ebrea. Gracya lo è. E mi ha pregata di accompagnarla. Non potevo dirle di no. Sono battezzata cattolica. Ma Dio, con i suoi problemi, non mi interessa. L’ho accompagnata a Lódz.

Mi sono trovata coinvolta. Non volevo. Ma mi sono trovata coinvolta. Per Gracya. Non poteva rimanere sola. Io, non potevo rimanere isolata al suo dramma. Che fu anche il mio, quando siamo state costrette a distruggere il monumento a Kościuszko.

Lei, io, noi, abbiamo distrutto la Polonia.

La testa scheggiata. Le dita delle mani frantumate. Parti e parti disperse. Ci hanno ripreso mentre lo facevamo.

Noi ci siamo baciate. Ostentatamente. Violentemente. Per scherno. Una violenza sentimentale che affermava la nostra vita. Libera. Riparatrice.

D’intorno non hanno compreso. Ci hanno schernito. Ci hanno offeso. Ci hanno dileggiato. Due lesbiche. Ebree e polacche. 

 

Gracya è la mia amica. La mia amante saltuaria a metà. La conobbi una sera che mi recai a teatro. Lei recitava (in “Anfisa”,  un testo di Andreev) ed alla fine della rappresentazione mi recai nei camerini per omaggiare le interpreti.

L’avevo già notata sul palcoscenico (forse, mi ero predisposta all’incontro). Pure struccata mi fece ammutolire. Era splendida, flessuosa. Ammaliante. Con quegli occhi verdi che balzano fuori. Ti vengono incontro. Stordendoti.

La invitai a venire a cena. Rifiutò ogni altro invito. Fu un segnale. Parlammo. Ci raccontammo. Ci svelammo. Ci amammo. Facendo un patto: insieme, ma libere.

Siamo molti simili per non comprendere l’una le esigenze dell’altra. Anche emozionali e sessuali.

Il nostro è un rapporto oltre l’amore.

Di due donne straordinariamente, come dire, rivoluzionarie.

Senza remore nel mostrarsi. Nel dichiararsi. Nel raggiungere tutte le sensazioni che si possono rastrellare in una vita felice.

 

Vengo spesso con Alfred al parco. Quando Gracya è impegnata con le prove. Oppure (e ne sono consapevole)  è alle prese con qualche amante occasionale. 

Sono circostanze in cui sono presa dall’uggia della solitudine (e, perché no?, dalla gelosia … sono onesta …   c’è un viceversa).

Divento smaniosa. Non riesco a trattenermi in casa. Chiamo Alfred. Lui mi fa compagnia in lunghe camminate (attendo che passi il tempo perché Gracya si liberi).

Al parco abbiamo la nostra panca. Quasi con l’usanza  usuale tra innamorati. Lui mi dice dei suoi compagni. Dei suoi interessi. Io gli dico dei miei viaggi.  Delle mie letture. Dei miei progetti. E, qualche volta, delle mie paure.

Parlo infervorata. Della Polonia. Dell’università di Cracovia. Di Sobieski. Lui ascolta incuriosito. Appassionato.

Naturalmente, lo lascio sbirciare le gambe. Scostando leggermente la gonna.

Mi sono accorta che Alfred è cresciuto. Dallo sguardo più che dalla prima barba. Non sbircia, ma scruta con insistenza. Risalendo lo sguardo dalla coscia al seno. Poi,  al viso. Poi, al ventre. Poi, di nuovo al viso. Fissandomi assorto e penetrante.

Mi ha turbata. Mi sono detta: perché no? O, forse, glielo devo!

Sono pronta a stringerlo a baciarlo. Mi sono avvicinata alle sue labbra.

A volte, la rinuncia ti sovrasta quando ti affidi alla sfida. Mi è venuta a mente e mi ha terrorizzato la gelosia di Gracya (con Alfred, il rapporto  non si sarebbe limitato ad un bacio … questo lo percepivo … il tempo aveva saldato complicità tra noi) e lo scandalo pubblico in una città dove io ero già scandalo. Mi sono trovata a pensare anche alla signora Faustyna (cosa c’entra la signora Faustyna?) e le labbra si sono mosse a sorriso.

Mentre ho deciso di ritrarmi, Alfred si è ritratto (credo che abbia inteso il sorriso sulle mie labbra come compassionevole). Non ha ancora la malizia e decisione dell’amante!

 

La signora Faustyna mi ha raggiunta trafelata. Di solito bussa due volte. Ha fatto trillare il campanello continuamente. A Lwów hanno massacrato i docenti. Sono stati accusati di far parte della resistenza. Di essere, il loro vivere, una resistenza. Conoscevo il Prof. Hamerski. Emerito medico. Ero stata sua paziente. Sua a amica. Lo piango. Ho perso un abbraccio in cui rifugiarmi. La Polonia ha perso braccia che la sapessero difendere.

 

Sotto casa di Gracya è una auto/tinozza con un camion militare.

Mio Dio! Stanno trascinando Gracya nell’auto/tinozza! Ha il viso tumefatto. E’ discinta. Si dimena. No! No! Corro. Voglio fermarli. Grido: Gracya! Gracya!

Due militari mi intercettano. Mi chiedono i documenti. Dico che sono polacca. Mi strattonano e mi urlano: “puttana polacca”. Mentre la auto/tinozza parte via.

Non ho più sensi per comprendere. Mi fanno salire sul camion. Ci sono altri militari. Non riesco a vedere quanti. Mi stendono sul pavimento. Mi stracciano i vestiti. Mi tengono ferma. Mi vengono addosso. Ad uno ad uno. Mi rivoltano. Fanno del mio corpo un niente.

Non sono più una donna, ma una discarica di odori. Di quegli odori di sporco degli abiti polverosi quando si inumidiscono del sudore. Che cola per la eccitazione della paura o della violenza.

È solo tanfo che mi disgusta. Mi torna in gola. Ma, non riesco a sputare. Mentre lo sperma, che mi sommerge,  mi soffoca. In ogni lembo di pelle.

Mi ritrovo in terra. Supina. Graziata della vita.

 

Ascolto bisbigli sul pianerottolo. Origlio. La signora Faustyna parla concitata con Alfred. Oh, Dio! La signora Faustyna fa parte della resistenza e distribuisce il Biuletyn  della Armia Krajowa. Si stanno accordando. Perché Alfred sia il corriere con la tipografia.

Mi incolpo di aver esaltato Alfred con le nostre discussioni su Casimiro il Grande, su Grunwald, su Sobieski.

Mi chiedo perché non si confidino con me. Mi ritengono una collaborazionista? Una traditrice? Una donna inutile dedita alla propria vanità, al proprio piacere? O tengono a me, tanto, da proteggermi nel non coinvolgermi?

Non ho rivelato il mio segreto. Sotto pseudo, pubblico i miei articoli sul “Biuletyn”.

 

Ho la sifilide. In uno stadio avanzato. Avevo notato un rossore che si estendeva dalla vagina ai glutei. Ho lasciato correre, pensando ad una orticaria. Una irritazione transitoria della pelle che sarebbe scomparsa  in poco tempo. Ma sono comparse delle fistole. Che si sono estese invadendo tutto il corpo. Ho una grande stanchezza. Sul pettine si raccolgono ciuffi di capelli. Ho compreso da me. Lo stupro?!

So che non ho cura a cui sottopormi. Se non  con una nuova medicina di cui ho sentito dire. Qui non si trova.

Vado verso la cecità. Scivolo nel baratro. Resisterò sin quando possibile. Posso ancora controllarmi allo specchio. Osservarmi. Sto dimagrendo rapidamente.

 

Ho scelto. Non uscirò più. Mi rintano. Attendendo che Gracya venga a salvarmi. Ma, il mio aspetto è diventato  repellente. Forse mi fuggirà. Oh! Dov’è Gracya?

Voglio morire tra gli odori della mia casa. Ma, che odori ha la mia casa?

 

Sto svuotando la mia casa. Il mio guardaroba. Tutto  al mercato nero. Albert è tornato. Ha venduto il vestito di  seta verde. Ma, le medicine che mi servono non si trovano.

Oggi e domani potrò mangiare. Ma,  tra cinque giorni, tra una settimana?

Anche le blatte sono fuggite. Forse riuscirò a bloccare una mosca sul vetro delle finestre.

Il mio stomaco non ha più ritegni. E incomincio a credere che la vita sia più disgustosa di ciò che ti disgusta vivendola. Una vita che trascorre sui “ma”.

 

 Dal piano di sotto sono saliti gemiti e stridii come di una lotta. Poi il silenzio. E Passi veloci per le scale.

Un porta si apre. Tre colpi di rivoltella.

Alfred? No! Alfred?

 

Sanno che scrivo sul “Biuletyn”? Pensano che sia ebrea per quel filmato a Lodz?

Sono entrati in casa. Io, appoggiata allo stipite di una porta. Nuda. Con le pelle infetta che copre a malapena le ossa.

Non mi hanno colpito. Non mi hanno ucciso. Mi hanno sputato addosso. Con disprezzo. Con ripugnanza.

Uno sputo più fetido dello sperma. Che mi gettarono sul corpo. Quando mi stuprarono.

Sono. Allo stremo.

 

Non. Voglio che. Mi si trovi. Nuda.

Ho indossato quel che mi è rimasto. La camicia con i fiori azzurri  che mi regalò mia madre quando discussi la laurea. La mutandina di pizzo nero di   Milchior che mi comprò Gracya. Quando andammo a Parigi. 

La signora Faustyna e Alfred mi hanno preceduto. Sono rimasta sola.

Prego. Prego. Prego. Sì! Ora. Prego.

Non so come morire. Il mio cervello impazza nell’attesa. Devo solo attendere.

 

Sola! E, attendo disperatamente. Le attese ti rodono. Ti sfibrano. Ti demoliscono. Ma, poi, mi dico: l’attesa è della tua morte. Cosa importa essere disperati quando si confida nell’epilogo?

Il tempo. Quanto tempo, ancora?

 

Sento il corpo di Gracya avvinto al mio. Uno sbuffo di fumo verso il cielo. Lo respiro.

 

Sono arrivati. Già hanno prelevato la signora Faustyna (il sangue le si è raggrumato sulla nuca … il suo corpo lascia ancora una scia di buon odore di forno).

Come è bello Alfred! Fiero delle medaglie sul petto (tre volte l’anno colpito al cuore).

Io sono composta sul letto. Non ho sorrisi né sgomenti negli occhi. L’uomo (non so come si chiami) mi sfila le mutandine (è agevole, sono leggera). Le porterà alla sua donna. O, le venderà al mercato nero: per comprare cibo nella speranza di avere lunghi sprazzi di vita. Ignora che la speranza, che si rinnova ogni giorno, è la più terrificante delle depredazioni.

 

Ci hanno posto su carrette diverse. Per ciascuna, un uomo la tira, un altro la sospinge, tenendola in equilibrio. Ci gettano nella fossa. Per uno scivolo.

 

Di noi, la prima è la signora Faustyna.

Poi, Alfred. A testa in giù. Lui cade rivoltandosi sullo scivolo. Il braccio si piega su se stesso. Fa un rumore secco e resta penzoloni. E si adagia, scomposto, sulla signora Faustyna.

 

Tocca a me. Mi mettono sullo scivolo e mi lasciano andare. La camicia si apre. Non sono un bel vedere i miei seni raggrinziti. Le braccia si allargano per andare ad abbracciare i miei vicini. Le gambe restano giunte. Pudiche. E il pube nudo, folto, nero, è un imperioso richiamo alla mia femminilità devastata.

Un ultimo scherno. Senza ritegno. Senza trattenere commenti. Senza compassione.

Scivolo senza freni di pietà. Cado. Accanto ad Alfred.

 

Affacciati sulla fossa alcuni gettano calce. Bianca. Alla rinfusa. Il bianco mi dona. Fa risaltare il colore dei miei occhi.

Il bianco è anche il colore della resa.

Ma nella fossa non c’e bellezza o resa.

Non ci sono vincitori, né vinti. Nella fossa c’è lo  sterminio di un popolo e ne stanno edificando il ricordo. Costruendo il basamento sui nostri corpi:

Di questo sono grata.

 

Le forme di luce della nostra vita si slanciano nell’infinito.

Si raccolgono, andando a precederle. E si raccontano a sprazzi perchè non sempre si riesce a percepirne la continuità. O, forse,  la continuità non ha senso. Il divenire è il singulto di un flusso fatto di memorie che si sdoppiano. Che si deviano.

Se potessimo precederle da vivi, con i nostri sensi, potremmo spegnere i nostri misfatti, le nostre inconcludenze, le nostre violenze. Dovremmo. Tenteremmo spegnere la luce.

 

In memoria, ora, qui, si spenga la luce.

 

 

dall’ esilio

4 marzo – 20 marzo 2018

 

 

 

TORNA

links di accesso alle sezioni                                                                                                                     

 teatropoetica       canzoniere        diaristica   pittura